Attraverso la sentenza in commento, la Cassazione ci indica in quali casi i parenti della vittima possono chiedere ed ottenere un risarcimento nel caso di errata e non tempestiva diagnosi dei sanitari: che cosa succede cioè, quando un medico non diagnostica per tempo una malattia che poi porterà al decesso il paziente? C’è margine per un risarcimento in capo ai parenti della vittima?
La fattispecie
Un uomo si reca al pronto soccorso in preda a dolori retrosternali acuti, qui però viene semplicemente dimesso con una diagnosi di nevralgia. Il giorno seguente, stante il perdurante malessere, l’uomo si reca nuovamente al pronto soccorso dove, a seguito di esami più approfonditi, gli viene diagnosticato un infarto acuto, procedendo quindi al ricovero d’urgenza; l’uomo, però, muore poco dopo. I congiunti del danneggiato si rivolgono dunque al Tribunale di Cagliari per ottenere dalla ASL il risarcimento dei danni patiti. Il Giudice di primo grado accoglie la domanda e dispone il risarcimento ma la Corte d’appello, successivamente adita, rigetta la domanda risarcitoria ritenendo che, nonostante nel comportamento del sanitario fosse possibile rinvenire sia negligenza che imperizia, per non aver disposto il ricovero immediato del paziente, la sua prospettiva di vita, in termini di probabilità statistica, non poteva essere superiore ad alcuni mesi, 12 secondo l’ipotesi più favorevole, 3 secondo quella più nefasta. I congiunti del danneggiato ricorrono dunque in Cassazione.
Il principio di diritto
I parenti della vittima, adita la Cassazione sostenendo che due delle tre cause che avrebbero determinato il decesso del congiunto, ossia la fibrillazione ventricolare e l’asistolia, se prontamente riconosciute avrebbero potuto essere trattate con buone probabilità di successo e che la chance di vita era state tranciata dalla condotta colposa del medico. Questo l’addebito più importante formulato dai familiari della vittima e la Cassazione, con sentenza n. 16919 del 2018 ha accolto questo ragionamento, condannando quindi la ASL al risarcimento del danno.
Conclusioni
Nei casi in cui quindi, la condotta colpevole del medico non abbia cagionato direttamente la morte del paziente ma ha determinato comunque una significativa riduzione della sua vita, oltre ad un peggioramento della qualità della stessa per tutta la sua minor durata, la Cassazione ha previsto che vi debba essere un risarcimento per i parenti della vittima, dal momento che è da ritenersi certo o altamente probabile che il comportamento omissivo del sanitario abbia incrementato le sofferenze psichiche e spirituali del danneggiato, nonché, la morte.