Con tale pronuncia, i Giudici della Corte di cassazione, affermano che i limiti di sindacato propri del giudizio di cassazione non devono applicarsi al giudizio di appello

La fattispecie

Entrambi i giudici di merito avevano rigettato la domanda volta ad accertare la condotta dannosa addebitabile a due dottori e fonte di responsabilità sanitaria a carico degli stessi nonché della azienda ospedaliera.

In particolare, gli attori contestavano ad una dottoressa il colpevole ritardo nell’individuazione della malattia ovvero la colpevole imperizia della medesima nel prescrivere o richiedere la tempestiva effettuazione di indagini strumentali. Oltretutto nel momento in cui furono poi eseguiti tali accertamenti, si era manifestata sì la patologia ma notevolmente aggravata.

Inoltre, all’altro sanitario citato, veniva contestata la non corretta esecuzione di un intervento chirurgico da cui era conseguita una recidiva a causa della quale il soggetto aveva poi dovuto sottoporsi ad una ulteriore operazione.

L’erede del paziente, nel frattempo deceduto, ha presentato ricorso per cassazione della sentenza, sul presupposto che la Corte anconetana avrebbe omesso completamente di esaminare le critiche rivolte nell’appello alla sentenza di primo grado, di fatto “adagiandosi” sulla relazione del CTU a tal punto da non esaminare nemmeno i motivi di appello.

Il principio di diritto

La Cassazione, con sentenza n. 8460 del 5 Maggio 2020, non solo ha accolto il ricorso ma anche criticato pesantemente il metodo argomentativo utilizzato dal giudice d’appello.

In particolare, è stato criticato il fatto che la Corte territoriale, nel richiamare i principi relativi alla possibilità del giudice di merito di richiamarsi alle considerazioni e conclusioni del CTU non abbia riflettuto sul fatto che esse erano state enunciate con riferimento alla censura della motivazione del Giudice di merito in sede di legittimità, e non dunque rivolte al Giudice dell’appello. Così facendo, la Corte anconetana, per utilizzare le parole della Terza Sezione, “ha ritenuto di espletare il suo compito di Giudice d’Appello come se avesse rivestito la funzione di Giudice di legittimità e, quindi, come se avesse avuto i limiti di sindacato proprio del giudizio di cassazione”.

In concreto risulta che i Giudici di secondo grado si siano limitati alla mera riproduzione di passi della CTU privi della pur minima spiegazione del perché essi sarebbero stati condivisibili, e questo nonostante le specifiche critiche contenute nell’atto di appello.

In questo modo, è stato completamente travisato, o meglio omesso il rispetto della funzione che deve svolgere il giudice di appello. Anche dopo le ultime modifiche legislative del 2012, infatti, il giudizio di secondo grado non è un giudizio di impugnazione meramente rescidente ma si connota, come una impugnazione che nell’ambito di questi ultimi ha effetti dell’evolutivi del giudizio e che dunque pone il giudice di appello in una posizione per cui nel rendere il proprio giudizio si trova sulle questioni prospettate dei motivi nella stessa posizione del giudice di primo grado.

Conclusioni

In conseguenza alla pronuncia della Cassazione, il giudice del rinvio dovrà ora attenersi a quanto affermato in principio dai Supremi Giudici, e quindi controllare la decisione del giudice di primo grado in quanto adagiandosi sulle conclusioni di una CTU, con critiche rivolte sia sotto il profilo della mancata considerazione della CTP di parte sia sotto il profilo dell’intrinseca congruenza, non potendosi limitare ad evocare la CTU esplitata dichiarando genericamente di condividere gli assunti, così finendo per procedere all’adempimento del dovere motivazionale non come giudice di appello, ma come se fosse investito di un giudizio di legittimità.

Avv. Francesco Cecconi