Nella sentenza in commento, i giudici della Suprema Corte di Cassazione cercano di rispondere ad un quesito riguardante la tematica del consenso informato e cioè se spetta anche alla moglie il risarcimento del danno nel caso in cui il marito sia rimasto impotente a seguito di un intervento chirurgico dei cui rischi non era stato informato?
La fattispecie
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26728/2018, è stata chiamata ad intervenire dopo che il Tribunale di Pisa e la Corte d’Appello di Firenze avevano rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da un uomo e da sua moglie.
L’uomo, infatti, aveva convenuto in giudizio l’andrologo e l’urologo che lo avevano preso in cura, nonché l’Università degli Studi di Pisa e l’Azienda Ospedaliera Pisana, a seguito di un intervento di fallo-plastica additiva, cui avevano preso parte i predetti professionisti e che aveva comportato un pregiudizio all’integrità fisica valutato nella misura del 25% di danno biologico permanente, in considerazione della definitiva “impotentia coeundi”, senza che l’uomo avesse mai prestato il proprio consenso informato in relazione ai rischi di un simile intervento.
La domanda avanzata dalla moglie, invece, consisteva nella richiesta di risarcimento per il danno derivato alla propria sfera sessuale in qualità di coniuge, oltre al danno morale derivato, come effetto riflesso, dal fatto illecito del terzo responsabile.
Il Tribunale di Pisa, accertava la responsabilità contrattuale dell’Azienda Ospedaliera e dell’urologo solo con riferimento all’omesso consenso informato e li condannava a risarcire al solo marito i danni non già derivatigli a seguito dell’intervento, eseguito secondo le tecniche dell’arte, bensì collegati alla mancata acquisizione del consenso informato; rigettava però la domanda dell’attore nei confronti dell’andrologo e dell’Università degli Studi di Pisa e, parimenti, il Tribunale rigettava la domanda proposta dalla moglie.
La Corte d’Appello di Firenze rigettava l’appello proposto dagli attori.
Il principio di diritto
La Corte di Cassazione censura la sentenza di secondo grado ed enuncia un nuovo principio di diritto, affermando che la mancata informazione del paziente circa il rischio, poi verificatosi, che l’intervento, pur eseguito correttamente, provochi un pregiudizio incidente sulla sfera sessuale di un individuo, ha effetto non indirettamente, bensì “in via immediata e riflessa” sul coniuge che, pertanto, deve essere risarcito. Quest’ultimo risulta infatti privato, al pari del paziente, di un aspetto fondamentale del rapporto di coppia e della vita di relazione.
La Suprema Corte, pertanto, rinvia alla Corte d’Appello affinché quest’ultima si pronunci sulla domanda della moglie del danneggiato alla luce del nuovo principio di diritto.
Conclusioni
In precedenza, la Corte di Cassazione aveva già affrontato il tema del danno da violazione del consenso informato, ma in relazione alla posizione del solo paziente. Tale danno era stato ritenuto risarcibile in via autonoma rispetto al danno alla salute. In particolare, la Cassazione aveva valorizzato il diritto all’autodeterminazione del paziente stesso, che deve essere informato di tutti i rischi, in modo tale da poter decidere di rifiutare l’intervento o di sottoporvisi con la possibilità però, in tal caso, laddove il rischio si realizzi, di affrontarne le conseguenze e le relative sofferenze con consapevolezza, maggiore serenità e migliore predisposizione d’animo
Dalla combinazione dei principi sanciti da questi due precedenti non può che derivare che quanto stabilito con riguardo alla posizione del paziente debba essere applicato anche al coniuge, la cui vita sessuale venga di riflesso, ma immediatamente e direttamente, compromessa e che sia stato privato, al pari del partner, di un’informazione relativa a possibili conseguenze incidenti su un aspetto fondamentale della vita sessuale e relazionale di coppia. Sia perché il danno è lo stesso – per l’appunto, la compromissione della vita sessuale di coppia – sia perché analogo è anche il fondamento del risarcimento: la violazione del diritto all’autodeterminazione. Se, infatti, i coniugi avessero conosciuto i rischi connessi all’operazione, con ogni probabilità avrebbero congiuntamente deciso di rifiutarlo o – entrambi – sarebbero stati più preparati ad affrontarne le conseguenze nel caso in cui si fossero determinati ad effettuare comunque l’intervento.7