Il risarcimento del danno non patrimoniale per la grave lesione del bene salute ben può essere risarcito, in alternativa al metodo tradizionale, con lo strumento della rendita vitalizia, ove le circostanze del caso lo indichino, quali la oggettiva gravità della situazione in cui versi la vittima, il carattere permanente del danno e l’impossibilità di stabilire, in modo oggettivo, una durata presumibile della vita della danneggiata (ormai già in età molto avanzata).
Con riferimento alla costituzione di una rendita, si osserva che, nonostante la sua scarsissima applicazione pratica, tale strumento offre un importante criterio di liquidazione del lucro cessante, consentendo al giudice, d’ufficio (e dunque senza la necessità di una specifica domanda in tal senso), di valutare la particolare condizione della parte danneggiata e la natura del danno, con tutte le sue conseguenze.
La fattispecie
La vicenda che riferiamo nasce dunque da una richiesta di risarcimento dei danni promossa da una donna vittima di un errore sanitario dal quale ne derivava una grave compromissione in termini di danno biologico, con la quasi totale menomazione della salute e delle funzioni “dinamico relazionali”.
In particolare, si legge nella decisione che, con riferimento al nesso eziologico tra condotta e danno prodotto, «nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell’attore, paziente danneggiato, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento (onere che va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno), con la conseguenza che, se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata»
La prova del nesso causale si sostanzia nella dimostrazione che l’esecuzione della prestazione sanitaria si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di preteso danno, che è rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui si era richiesta la prestazione o dal suo aggravamento.
Nel caso specifico, le circostanze acquisite sul piano istruttorio (con l’espletamento della consulenza medico legale, specialistica) inducevano il giudice univocamente a ritenere che la struttura sanitaria convenuta non avesse adempiuto con la necessaria diligenza e la dovuta prudenza alle proprie obbligazioni. In particolare, emergeva che non erano stati adottati tutti gli accorgimenti diagnostico-terapeutici previsti dalle linee guida, con conseguente condanna della struttura al risarcimento die danni tutti patiti dalla paziente, patrimoniali e non patrimoniali.
Accertata la responsabilità della struttura ospedaliera, il giudice era quindi chiamato a decidere l’entità del risarcimento economico spettante alla parte lesa.
Il principio di diritto
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 14 Maggio 2019, afferma come i meccanismi empirici di calcolo per il danno e per la determinazione della componente economica destinata alla sua compensazione, elaborando delle tabelle di conto utilizzate in tutto il territorio nazionale (note come “tabelle” di liquidazione del tribunale di Milano).
Questo meccanismo di calcolo consente di risarcire progressivamente il danno con importi tanto più elevati quanto più grave è la lesione ed è normalmente calibrato sulla presumibile durata della così detta “vita residua” della vittima, sul presupposto logico che più lungo è il tempo della vita menomata, maggiore sarà il patimento ed il conseguente ristoro.
La sentenza in esame ha però la particolarità di rompere questa consuetudine, perché invece che erogare un’unica somma anticipata e capitalizzata, dispone la sua suddivisione in versamenti annuali (nella forma appunto della rendita vitalizia) fino alla fine della vita della vittima.
Conclusioni
La questione che pone questa importante decisione è se lo strumento della rendita vitalizia possa essere adattato, quale meccanismo compensativo ed equitativo del ristoro del pregiudizio sofferto da una vittima, soprattutto nell’ambito del risarcimento del danno alla persona di natura non patrimoniale, e quali ne siano i presupposti ed i meccanismi applicativi.
La decisione analizzata ha innanzitutto un primo importante pregio: quello di mettere al centro della attenzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale un istituto del nostro ordinamento, troppo poco utilizzato invero, e rivalutarne la sua finalità, volta ad adattare alle caratteristiche del caso concreto uno strumento di congruità ed al tempo stesso di pienezza del ristoro. Nel propendere verso la soluzione adottata, il tribunale di Milano non si nasconde la “scarsissima applicazione pratica” di questo strumento risarcitorio, ma ciò nonostante ne evidenzia le peculiarità e le funzionalità in ragione di una migliore attinenza del compenso alla reale portata del danno subito.
In vero, proprio la oggettiva gravità della situazione in cui versa l’attrice, il carattere permanente del danno e l’impossibilità di stabilire, in modo oggettivo, una durata presumibile della vita della danneggiata (ormai già in età molto avanzata), induce il Tribunale a provvedere mediante la costituzione di una rendita vitalizia.
È quindi la situazione oggettiva, rara ma non infrequente, dettata dalla età avanzata della vittima di concerto con una condizione degenerativa che rende imprevedibile l’entità della vita residua, ad indurre il giudice verso questo strumento messo a disposizione dal legislatore.