Secondo i giudici della Cassazione, i marchi delle squadre di calcio, impressi sulle maglie da gioco, sono pienamente tutelabili al pari di ogni altro e quindi tutto ciò significa che rientra nella fattispecie di commercio di prodotti con segni falsi la condotta di colui che detiene per la vendita magliette recanti i segni di riconoscimento delle società calcistiche contraffatti.
La fattispecie
I negozi di articoli sportivi, oppure gli stores ufficiali delle varie squadre ne sono sempre ben forniti di magliette e mute della propria squadra e tali capi di abbigliamento hanno un costo spesso non indifferente. Accanto alle “forniture ufficiali” vi è, comunque, tutto un fiorire di bancarelle o di ambulanti, talvolta strategicamente collocati nei pressi degli stadi di calcio in occasione di qualche partita particolarmente sentita dai tifosi. Spesso la merce esposta è in tutto e per tutto uguale a quella originale, ma i segni distintivi non sono che una pallida imitazione di quelli veri. E’ reato metterle in commercio? Il caso che ci occupa origina da un’ordinanza di annullamento di un sequestro probatorio di alcune magliette di squadre di calcio i cui loghi non erano originali. Il Tribunale del Riesame che l’ha pronunciata ha affermato che i colori delle squadre di calcio non possono essere tutelati perché ormai sarebbero “volgarizzati” dalla loro notorietà e, inoltre, il nome delle squadre di calcio non può essere considerato un marchio tutelabile. Il Pubblico Ministero, avuta l’ordinanza tra le mani, insorge: e affida le proprie critiche a due motivi di ricorso per cassazione.
Il principio di diritto
I giudici della Corte di Cassazione, con sentenza n. 33900 del 2018, condividendo la logica del Pubblico Ministero, iniziano il loro ragionamento affrontando il tema della tutelabilità del “nome” della squadra di calcio. Quest’ultimo, secondo la Suprema Corte, è pienamente tutelabile come un vero e proprio marchio.
Le ragioni di questa conclusione si appoggiano sul sistema normativo attualmente in vigore, che consente, intanto, alle squadre di calcio di perseguire lo scopo di lucro (vietato fino al 1996) anche attraverso lo svolgimento di attività commerciali “parallele” a quella del gioco del calcio: vendita dei diritti per le riprese televisive, attività pubblicitaria e merchandising rappresentano, per l’appunto, le iniziative commerciali più diffuse (e più lucrose) per le società sportive calcistiche. Questa inversione di tendenza, iniziata nel 1996, comporta infatti che squadra faccia uso del proprio marchio e dei segni distintivi correlati in modo tale da ricavarne un profitto commerciale. Il nome della squadra di calcio, anche quando esso coincide con la denominazione geografica della città di appartenenza (ad esempio, “Torino” o “Palermo”), è registrabile e tutelabile. La tutelabilità del marchio non viene meno, come si è voluto sostenere nell’ordinanza impugnata dal P.M., a causa del fatto che i nomi delle squadre sono entrati a far parte del linguaggio comune: questo fenomeno – sia pure massivo – non ha fatto perdere capacità distintiva al marchio, proprio perché la notorietà della squadra è fuori discussione.
Conclusioni
Con tale pronuncia quindi, la Cassazione decreta come veri e propri marchi i nomi ed i loghi delle squadre di calcio che quindi, in quanto tali, devono e saranno tutelate di conseguenza, in ordine alle copie dei prodotti di merchandising.