Nel caso in cui un medico debba sottoporre il paziente ad un intervento particolarmente rischioso, egli deve, proporzionalmente, procedere con una maggiore prudenza rispetto al normale, al fine di evitare di essere considerato responsabile per gli eventuali danni arrecati al soggetto.

La fattispecie
Un anestesista, non in situazione di emergenza e in condizioni discrete del paziente, ha tentato più volte una manovra notoriamente rischiosa su di un piccolo paziente e solo dopo l’ennesimo, infruttuoso tentativo si è verificata l’insorgenza di difficoltà respiratorie e le sue condizioni sono divenute critiche fino al decesso.

Il giudice di primo grado aveva escluso l’imperizia sulla base delle perizie medico legali, che indicavano la procedura come molto rischiosa e le cui conseguenze letali erano ben note, mentre per la Corte di Appello l’omicidio colposo andava escluso per insussistenza del fatto.
La vicenda è così arrivata in Corte di Cassazione.

Il principio di diritto
Per la Cassazione (con sentenza n. 33405 del 2018), la Corte di Appello non ha considerato che la manovra del medico fosse in quell’anno  oggetto di linee guida e cosa queste prescrivessero nel caso di un paziente del peso di poco più di sei chili. In assenza di linee guida poi non hanno verificato l’esistenza delle buone pratiche clinico assistenziali. Inoltre, nei precedenti gradi di giudizio, il consulente autoptico ha affermato che è raccomandabile non ripetere dopo due tentativi falliti e che la morte del piccolo paziente è stata causata dalla condotta censurabile di chi, una volta risultato infruttuoso l’accesso chirurgico a livello della regione prossimale della coscia sinistra, provò a trovare un’altra vena sia sugli arti che nella giugulare interna.
Secondo la Cassazione il medico non poteva ignorare i rischi di una manovra che secondo i periti non andava tentata più di due volte. E se anche il medico non fosse imputabile di imperizia, resterebbe in piedi la tesi dell’imprudenza.

Conclusioni
La sentenza, spiega che aumentando  i  tentativi infruttuosi   di  una manovra difficoltosa,  aumentano i rischi di attualizzare la complicanza. Per concludere quindi, appare opportuno sintetizzare i parametri da utilizzare, secondo la Cassazione, per distinguere la colpa lieve dalla colpa grave: “la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi”, “la misura del rimprovero personale, sulla base delle specifiche condizioni dell’agente”, “la motivazione della condotta”, “la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa”.