Il danno psichico lamentato davanti alla Suprema Corte, da parte dei genitori del danneggiato in seguito ad un sinistro stradale, è troppo generico. Confermata è la decisione di merito secondo la quale il pregiudizio esistenziale causato dalla depressione e dai disturbi psichici non è dimostrato «mediante allegazione delle pregresse abitudini di vita del danneggiato, eventualmente compromesse dal sinistro, al fine di pervenire ad una ulteriore personalizzazione del danno».
La fattispecie
In seguito ad un sinistro stradale il Tribunale adito dai danneggiati, cioè i genitori di un minore coinvolto nell’incidente, condannava al risarcimento danni il guidatore del motocarro che aveva parcheggiato distrattamente provocando la caduta della vittima.
La sentenza di primo grado veniva appellata dagli attori, che si erano visti risarcire solo una parte dei danni richiesti, infatti in secondo grado lamentavano l’errata valutazione dei danni da invalidità permanente e temporanea. La Corte d’Appello adita, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava gli appellati al pagamento di un ulteriore importo a titolo di risarcimento per il minore.
Avverso la decisione di merito i genitori del minore danneggiato, insoddisfatti della decisione di merito, hanno proposto ricorso per cassazione con un unico motivo. Tra le varie doglianze contenute nel motivo di ricorso, relative all’errata valutazione della Corte territoriale circa la determinazione del danno da invalidità permanente e temporanea, emerge la rilevazione del ricorrente in merito alla sussistenza di un danno psichico sul presupposto che «la consapevolezza della necrosi della testa del femore provoca anche depressione e disturbi psichici che si aggiungono al pregiudizio già preso in esame dai giudici di merito».
Il principio di diritto
Esprimendosi sul punto la Cassazione, con ordinanza n. 16507 del 2018, ha ritenuto che la questione circa la depressione da consapevolezza della patologia è del tutto generica ed è correttamente già stata presa in esame dalla Corte territoriale.
Osserva il Collegio che nella decisione impugnata il rilievo non è prospettato come autonoma «denominazione psichica da somatizzazione», per questo rientra nella nozione di danno biologico. Infatti la Cassazione, richiamando la costante giurisprudenza della Corte di legittimità, ha precisato che «l’effettiva consistenza delle sofferenze anche psichiche, patite dal soggetto leso rientrano nel concetto onnicomprensivo di danno non patrimoniale, in applicazione del valore tabellare del punto». Ciò in quanto il pregiudizio esistenziale lamentato non è provato dall’allegazione delle pregresse abitudini di vita del danneggiato, che potrebbero essere state compromesse dal sinistro, per la personalizzazione del danno.
In conclusione la Suprema Corte, confermando in toto la decisione del Giudice di merito ha rigettato il ricorso anche in relazione alle altre doglianze.
Conclusioni
Come detto, quindi, per concludere, non si può che recepire questa pronuncia, in base alla quale la depressione, come vero e proprio disagio psichico e quindi medico, deve essere provato come ogni altro danno.