Il Tema in Discussione: è (davvero) l’apertura della successione il momento in cui si stabilisce l’entità e ampiezza della quota di legittima?Secondo la Cassazione (come sotto vedremo) in tema di successione necessaria la quota spettante al legittimario rinunciante non si accresce a favore degli altri legittimari accettanti, dovendo l’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria essere effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.
La sentenza n. 27259 del 16/11/2017 della Corte di Cassazione (che però non convince fino in fondo)
La Cassazione ha, difatti, enunciato i seguenti (rilevanti) principi nella sentenza n. 27259 del 16 novembre 2017:
l’entità e ampiezza della quota di legittima si stabilisce all’atto dell’apertura della successione (e non è, quindi, influenzata neppure dal fatto che uno dei legittimari rinunci all’eredità);
- inoltre, il godimento di un immobile che il de cuius, durante la propria vita, abbia concesso a titolo di comodato, non è considerabile quale donazione e pertanto non rileva ai fini del calcolo della quota di legittima.
Sotto il profilo del calcolo di quanto sia ampia la quota di legittima, il problema è, in realtà, assai delicato e la pronuncia de qua appare non del tutto convincente.
Si pensi al caso del padre che lasci due figli e il coniuge e, nel suo testamento, istituisca eredi il coniuge e uno solo dei due figli, diseredando l’altro; si aggiunga che quest’ultimo rinunci a impugnare il testamento per rivendicare la sua quota di legittima. Infine, si ipotizzi anche che il de cuius abbia stipulato, in vita, rilevanti donazioni a favore di terzi, ciò che induce i suoi legittimari (coniuge e figlio accettante) ad agire per ottenere la quota che la legge loro riserva.
Ebbene, la quota di legittima di questi due eredi è pari a un terzo per ciascuno (così come sarebbe se l’altro figlio non fosse mai esistito) o a un quarto per ciascuno, cioè pari a quella che spetterebbe ai legittimari del de cuius se tutti la pretendessero?
In altre parole, ci si chiede se la quota di legittima subisca o meno un “accrescimento” in dipendenza del fatto che uno dei potenziali legittimari non la acquisisca.
Parimenti si ripropone il caso di cui sopra se il figlio diseredato rinuncia all’eredità: la quota del coniuge e del figlio accettante è quella che la legge stabilisce per il caso che al de cuius sopravviva un solo figlio o quella per il caso che gli sopravvivano due figli ?
La Cassazione, nella sopra richiamata sentenza 27259/2017, ha deciso (nuovamente) in quest’ultimo senso: l’individuazione della quota di riserva opera sulla base della situazione esistente al momento dell’apertura della successione.
Per la verità, però, più di un dubbio rimane in ordine alle argomentazioni svolte dalla Suprema Corte, in quanto, dalla motivazione della sentenza non emerge alcuna riflessione sull’effetto retroattivo della rinuncia all’eredità (sancito dall’art. 521 cod. civ.), di modo che la decisione appare essere non una fondata meditazione della materia esaminata, ma piuttosto un’acritica riproposizione di un principio già espresso in passato per un caso (come vedremo tra un attimo) abbastanza diverso.
Il precedente della Cassazione a Sezioni Unite n. 13429 del 9 giugno 2006
Che questa fattispecie sia spinosa lo testimonia il fatto che in passato la questione è stata decisa dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 13429 del 9 giugno 2006) che sancirono il principio in base al quale l’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria va effettuata in base della situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non in base a quella che si determina per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.
Ma tale principio non poteva e non può considerarsi esaustivo, poichè circoscritto al caso, giudicato appunto dalla Cassazione nel 2006, in cui il numero dei legittimari venne condizionato dal fatto che qualcuno di essi aveva rinunciato all’azione di riduzione oppure si era trovato paralizzato nel suo esperimento per l’intervenuta prescrizione.
Restava però scoperto il caso del venir meno di un legittimario per la sua rinuncia all’eredità, reso controverso dalla considerazione che, ai sensi dell’articolo 521 cod. civ., la rinuncia è retroattiva al momento di apertura della successione: in buona sostanza equipara il rinunciante a un soggetto mai chiamato all’eredità.
Ecco, quindi, i fondati dubbi che la recente sentenza della Cassazione n. 27259 del 16 novembre 2017 abbia meramente (ri)affermato il principio delle SS.UU. del 2006 in modo acritico, senza adeguatamente valutare gli effetti (incidenti, appunto, sul criterio/momento in base al quale individuare l’entità ed ampiezza della quota di legittima) della retroattività della rinuncia all’eredità.