La Cassazione civile, a sezioni unite, con sentenza n. 8770 del 2018, fa il punto sull’articolo 590 – sexies del codice penale, dove si parla della nozione di colpa grave: i giudici hanno sostenuto che il medico risponde, a titolo di colpa, per la morte o le lesioni personali che derivano dalla sua attività medico – chirurgica quando l’evento morte si è verificato per colpa (anche lieve) da negligenza o imprudenza, da imperizia se il caso concreto non è regolato da linee – guida o raccomandazioni, quando tali linee – guida sussistono ma il medico ha seguito quelle non adeguate alla specificità del caso o quando l’evento si è verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee – guida tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.
Quanto all’estensione della causa di non punibilità introdotta dal nuovo articolo 590-sexies c.p., due le sentenze che si sono contese il campo, generando il menzionato contrasto interpretativo, ovverosia la sentenza c.d. De Luca-Tarabori (Sez. 4, n. 28187 del 20/04/2017) e la sentenza c.d. Cavazza (Sez. 4, n. 50078 del 19/10/2017). Le Sezioni Unite ritengono che in ciascuna delle due contrastanti sentenze in esame siano espresse molteplici osservazioni condivisibili, ma sia necessaria una sintesi interpretativa complessiva capace di restituire la effettiva portata della norma in considerazione. Per il Supremo Consesso risulta “esplicita la previsione della causa di non punibilità, innegabile e dogmaticamente ammissibile, non essendovi ragione per escludere apoditticamente che il legislatore, nell’ottica di porre un freno alla c.d. medicina difensiva e quindi meglio tutelare il valore costituzionale del diritto del cittadino alla salute, abbia inteso ritagliare un perimetro di comportamenti del sanitario direttamente connessi a specifiche regole di comportamento a loro volta sollecitate dalla necessità di gestione del rischio professionale: comportamenti che, pur integrando gli estremi del reato, non richiedono, nel bilanciamento degli interessi in gioco, la sanzione penale, alle condizioni date“. Infatti, la causa di non punibilità opera laddove il sanitario abbia cagionato per colpa da imperizia l’evento lesivo e mortale, pur essendosi attenuto alle linee guida adeguate al caso concreto. Le fasi della individuazione, selezione ed esecuzione delle raccomandazioni contenute nelle linee-guida adeguate sono, infatti, articolate al punto che la mancata realizzazione di un segmento del relativo percorso giustifica ed è compatibile tanto con l’affermazione che le linee-guida sono state nel loro complesso osservate, quanto con la contestuale rilevazione di un errore parziale che, nonostante ciò, si sia verificato, con valenza addirittura decisiva per la realizzazione di uno degli eventi descritti dagli artt. 589 e/o 590 c.p. (morte o lesioni colpose). Ancora, sottolinea la Cassazione, la ricerca ermeneutica conduce a ritenere che la norma in esame continui a sottendere la nozione di “colpa lieve”, in linea con quella che l’ha preceduta e con la tradizione giuridica sviluppatasi negli ultimi decenni. Le Sezioni Unite ritengono, infatti, che la mancata evocazione esplicita della colpa lieve da parte del legislatore del 2017 non precluda una ricostruzione della norma che ne tenga conto (diversamente da entrambe le sentenze che hanno dato luogo al contrasto che hanno scartato tale conclusione) sempre che questa sia l’espressione di una ratio compatibile con l’esegesi letterale e sistematica del comando espresso.
Le linee – guida e il loro valore: la sentenza in esame si è occupata di delineare i profili intertemporali di applicazione della legge Gelli – Bianco del 2017, poiché proprio tale provvedimento normativo ha modificato i limiti della colpa medica a fronte del rispetto delle linee – guida dettate in materia, con conseguenze in punto di individuazione della legge più favorevole. In passato erano sorti dubbi in ordine all’articolo 590- sexies del codice penale, dal momento che questo esclude la punibilità del sanitario, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, laddove però siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ovvero, in mancanza di queste, se il medico ha seguito le buone pratiche clinico – assistenziali e che esse siano adeguate alle specificità del caso concreto.
Il quesito che si doveva porre la Cassazione: i supremi giudici dovevano chiedersi quale sia, in tema di responsabilità colposa del medico per morte o lesioni personali, l’ambito di esclusione della punibilità previsto dall’articolo 590 – sexies del codice penale introdotto dalla legge Gelli – Bianco? La Corte risponde non accogliendo la richiesta del Procuratore Generale di sollevare questione di legittimità costituzionale del predetto articolo del codice penale e quindi procedono a risponde: le Sezioni Unite si soffermano sul tema della natura, finalità e importanza delle linee – guida, infatti attraverso le stesse si hanno parametri abbastanza circoscritti per capire se un medico ha rispettato i suoi obblighi di diligenza, prudenza e perizia. Tali indicazioni però non possono essere considerati come veri e propri precetti cautelari, capaci cioè di generare colpa specifica per il sol fatto che il medico se ne sia discostato, infatti in caso di violazione ci deve essere un rimprovero verso il medico, stante la necessaria elasticità del loro adattamento al caso concreto.
La conclusione dei giudici sul punto: In sostanza, le linee guida non rappresentano uno scudo contro ogni ipotesi di responsabilità essendo la loro efficacia e forza precettiva comunque dipendenti dalla dimostrata “adeguatezza” alle specificità del caso concreto, che è anche l’apprezzamento che resta, per il sanitario, il mezzo attraverso il quale recuperare l’autonomia nell’espletare il proprio talento professionale e, per la collettività, quello per vedere dissolto il rischio di appiattimenti burocratici. Si tratta, dunque, non di norme regolamentari che specificano quelle ordinarie senza potervi derogare, ma regole cautelari valide solo se adeguate rispetto all’obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente e implicanti, in ipotesi contraria, il dovere, da parte di tutta la catena degli operatori sanitari concretamente implicati, di discostarsene.